Lo scorso viaggio ci ha portato a sbirciare nel continente africano. Abbiamo deciso di provare a guardare diversamente l’Africa, mettendo da canto la classica narrazione di cooperazione, e abbiamo intuito che non sarà un viaggio semplice. Così, ancora una volta, tentiamo un viaggio attraverso le mappe regionali per scorgere quanto più possibile le infinite varietà del continente.
La prima tappa africana sarà dunque quella a noi più vicina (per tante ragioni, non solo geografiche): il Nord Africa. Geograficamente, la regione pare essere circoscritta da confini ben definiti, bagnata a Nord dal Mar Mediterraneo, ad Est dal Mar Rosso e ad Ovest dalle acque oceaniche, delimitata a Sud dalle sinuose dune desertiche del Sahara, che domina imperioso tutta la parte settentrionale del continente. Come abbiamo visto nelle tappe precedenti, spesso il Nord Africa è associato regionalmente al Medio Oriente, secondo una connotazione “culturale”, rientrando nel complesso di Paesi del mondo arabo. Questa “regionalizzazione” ha generalmente influenzato la collocazione geopolitica dei Paesi nordafricani, assimilati alla sfera di azione ed influenza mediterranea, offrendone però un’immagine parziale, nonché condizionata dal sottovalutare la complessità del mosaico arabo dell’Africa.
È una supposizione, questa, che potrebbe nascere anche dalle mancate aspettative “primaverili” di un decennio fa, quando quella che sembrò una termidoriana prospettiva (europea/occidentale), rivelò gli equivoci interpretativi di chi ne avesse semplificato le componenti e le dinamiche.
La lente mediterranea con cui si guarda al Nord Africa restituisce dunque una visione limitata di una realtà che al contrario è sempre più presente anche al di là delle dune magrebine e del Sahel.
L’atteso cambiamento che sembrava profilarsi con quelle che oggi conosciamo come le Primavere arabe, pare essere ancora ambivalente, anche e soprattutto in prospettiva 2030.
La “trina” Nord Africa
È difficile analizzare il cambiamento in una regione come il Nord Africa, poiché, anche cercando di assumere una prospettiva alternativa, essa si scompone ulteriormente mostrando sfaccettature che cambiano di nuovo e profondamente le basi interpretative. Alcuni elementi di analisi sono imprescindibili: le vestigia della Storia, l’influenza della cultura araba, i retaggi della colonizzazione, i regimi politici e le guerre civili successive, ma soprattutto la posizione geografica al contempo mediterranea, medio-orientale ed africana; ognuna di queste componenti può essere osservata in maniera differente assumendo di conseguenza un valore diverso in base al punto di vista che si assume.
Si potrebbe dunque provare a mettere in discussione il modello interpretativo che guida la “regionalizzazione” dei Paesi del Nord Africa, assumendo che le tradizionali categorie concettuali cui siamo soliti siano non di meno una “nostra” costruzione[1]. Ecco allora che ogni analisi, ogni studio politico, socio-economico, geopolitico acquisisce un significato diverso anche in riferimento al cambiamento di cui il 2030 è promotore e soprattutto in base a quale delle tre prospettive geografiche si voglia assumere!
Dal punto di vista mediterraneo e di chi “patrocina” l’istituzionalizzata rule of law, per lunghi anni le critiche mosse ai regimi del Nord Africa hanno determinato lo scostamento delle politiche estere di chi nel territorio ha avuto ed ha interessi. Si capisce facilmente dunque come il 2011 abbia acceso le speranze mediterranee al gran vociare delle rivolte primaverili, in un territorio dove i temi caldi scottano da tempi immemori (migrazione, risorse energetiche, diritti umani ecc…) e come fosse auspicabile un cambio di governo affinché le trattative scorressero in maniera, come dire, più “diplomatica”. Altrettanto facile è dunque percepire la delusione (da entrambi i lati del Mediterraneo) post-2011.
Quello che per il mediterraneo appariva nel decennio scorso come un cambiamento auspicato ed auspicabile, ha assunto al contempo contorni del tutto opposti in prospettiva medio-orientale, là dove le crepe delle speranze fallite sono state vulnerabili a degenerazioni che hanno ulteriormente scosso i precari equilibri di un mondo, quello “arabo”, percepito e categorizzato per connotazioni culturali e in cui si è agito per le già citate condizionalità negative.
Infine, la prospettiva africana, quella geograficamente più “naturale”, sta diventando oggi una realtà praticabile e praticata, quasi come fosse una “terza via”, scoperta magari con un po’ di ritardo. La regionalizzazione, intesa in questo caso come forma di cooperazione multidimensionale, sembra voler dare risposte pratiche e pragmatiche ad uno sviluppo multilivello che possa far coincidere le istanze delle diverse aree dell’Africa, inevitabilmente interconnessa per fattori storici, politici ed economici. Quanto cambiamento sia realizzabile in questa prospettiva è presto per dirlo, probabilmente; come abbiamo visto in precedenza, se le tappe e le fermate non sono poche, in Nord Africa sono addirittura “triplici” ed ognuna delle prospettive cambia radicalmente le premesse analitiche. La corsa per il 2030 forse è troppo affrettata per darci qualche risposta certa; affidiamoci allora all’Unione Africana che cammina più lungimirante verso il 2063.
[1] Interessante e dibattuta è l’analisi di Edward W. Said nel suo lavoro “Orientalismo. L’ immagine europea dell’Oriente”, secondo cui (si perdoni l’estrema semplificazione che svilisce la sofisticata complessità del ragionamento esposto dall’autore) la distinzione tra Oriente ed Occidente è stata frutto di un processo di creazione per contrapposizione ontologica ed epistemologica prodotto delle energie materiali e intellettuali dell’uomo (occidentale).