Io nacqui a debellar tre mali estremi:
tirannide, sofismi, ipocrisia;
ond’or m’accorgo con quanta armonia
Possanza, Senno, Amor m’insegnò Temi.
[…]
Carestie, guerre, pesti, invidia, inganno,
ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno,
tutti a que’ tre gran mali sottostanno,
che nel cieco amor proprio, figlio degno
d’ignoranza, radice e fomento hanno.[1]
LE PROMESSE SULLA CARTA
“La 70° Sessione dell’Assemblea Generale si è aperta con una conquista monumentale: l’adozione dell’Agenda 2030, che include 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, gli SDG.
Il nostro obiettivo è chiaro. La nostra missione è possibile; e la nostra destinazione è vicina: la fine della povertà estrema entro il 2030, una vita di pace e dignità per tutti.
Ciò che conta ora è tradurre le promesse sulla carta in cambiamenti sul campo.”
Così parlò Ban Ki Moon il 28 settembre 2015, di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Quel giorno, l’allora Segretario Generale dell’ONU, inaugurò un percorso ambizioso e solenne che tutt’oggi il Mondo sta percorrendo nel tentativo di raggiungere l’ideale di pace e prosperità universale, sposato settanta anni prima dalla comunità internazionale, in un Mondo trasfigurato dalla guerra.
Da quel settembre, l’Agenda 2030 ed i Sustainable Development Goals sono diventati un punto di riferimento (o parametro di giudizio) per l’azione e l’impegno dei Governi, nel tentativo, materiale e sostanziale, di promuovere quei corali principi di libertà, fraternità e uguaglianza. Degli SDG si parla e si è parlato a lungo, sono stati analizzati nella loro specificità, tenendo conto del rispettivo stato dell’arte a livello globale, europeo ed italiano. Sono e continueranno ad essere attenzionati in tante declinazioni quanti sono i rispettivi ambiti di assimilazione nella vita di ognuno e ciascuno, proprio perché pensati per guidare tanto gli Stati quanto le persone, come singoli e come parte di società multiformi e multidimensionali, interconnesse ed intrecciate.
Posta la monumentalità del proposito sposato nel 2015 e posto che la corsa verso il 2030 sembra recentemente essere incidentata da continui “imprevisti” di percorso, si provi a guardare all’Agenda 2030 ed ai suoi SDG non come l’utopistico progetto di una “Città del Sole” né come la distopia di un futuro di false promesse, ma come una Teoria del Cambiamento (Theory of Change, ToC). Nelle stesse intenzioni delle Nazioni Unite, laddove gli SDG costituiscono il “cosa” fare, la ToC si concentra sul “come” farlo; dalle promesse sulla carta al cambiamento sul campo, per dirla con le parole di Ban Ki Moon.
I CAMBIAMENTI SUL CAMPO
La Teoria del Cambiamento non è cosa nuova né per la letteratura accademica né per quella manageriale e, nell’ambito della cooperazione – nazionale, regionale ed internazionale – la ToC è da tempo usata come metodologia per elaborare strategie capaci di produrre il cambiamento (sociale, economico, politico ecc.) sperato e pianificato sulla base delle azioni da intraprendere. La ToC è, tout court, un approccio olistico alla lettura del futuro con un occhio di riguardo sul valore comunitario e sociale del contesto per cui la stessa Teoria è pensata.
Se letta in questa cornice di riferimento, l’Agenda 2030 offrirebbe dunque l’occasione, agli Stati e agli individui, di pensare ad un percorso condiviso per cambiare e costruire un modello di sviluppo sostenibile a livello sociale, economico, ambientale e istituzionale, aggiungendo peraltro che “mentre intraprendiamo questo grande viaggio collettivo, ci impegniamo a non lasciare indietro nessuno”.
Avventuriamoci allora in questo viaggio collettivo e vediamo, di settimana in settimana, come ogni realtà del mondo viva il cambiamento promosso dagli SDG. La bussola da usare sarà proprio la Teoria del Cambiamento (come, cosa e se è cambiato), le coordinate saranno le cinque aree tematiche in cui si possono raggruppare i 17 SDG, le così dette 5 P: Persone (People), Pianeta (Planet), Prosperità (Prosperity), Pace (Peace) e Partenariati (Partnership). Un giro del Mondo in meno di 80 giorni, per raccontare questa volta gli SDG non solo come raccolta di dati e di statistiche, di reportistica di buone pratiche, di traguardi e di pagelle, ma anche come cambiamento che, mutatis mutandi, sta concretizzandosi dentro e tra le regioni del Mondo.
Prima di partire per questo lungo viaggio che nelle prossime settimane ci porterà ad attraversare il globo, sarebbe però utile aggiungere una postilla: la chiave interpretativa è quella della teoria del cambiamento intesa quale percorso di trasformazione di un sistema di cooperazione che è tutt’altro che definito e definitivo. Più precisamente, la cooperazione internazionale può esplicarsi in più forme, non solo in termini di aiuti o di supporto allo sviluppo; cooperazione, nel senso di “operare insieme”, interessa tanto l’ambito dello sviluppo, quanto quello economico, finanziario, di giustizia, istituzionale e su più livelli (da quello internazionale a quello territoriale). Le molte sfaccettature della cooperazione dunque non possono prescindere da criticità o bias interpretativi, data la varietà di attori che coinvolge. Non si vorranno certo proporre degli assiomi incontrovertibili, ma degli spunti di riflessione che aiutino a guardare il Mondo con uno sguardo attento ai tempi che corrono, senza incorrere in sofismi o ipocrisie fuorvianti. Spogliandoci dunque e parimenti dei favolistici utopismi e delle disincantate distopie, partiamo alla volta della mappa del Mondo viaggiando per i cinque continenti con tappe nelle macro regioni per curiosare nelle piccole e grandi realtà attraverso occhi da esploratori che nulla danno per scontato.
[1] Delle radici de’ gran mali del mondo, Tommaso Campanella